L’espressione “Partenariato Pubblico-Privato”, in breve PPP, è più un contenitore che un contenuto.
Sottende l’idea del superamento del conflitto ideologico tipico dell’economia nazionale dal dopoguerra, tra intervento statale nell’economia e delega al mercato. Senza entrare nel dominio delle idee politiche, appare evidente che gli estremismi non giovino alla costruzione del futuro. Crediamo nella necessità del temperamento (medèn àgan, niente di troppo, insegnavano gli antichi) piuttosto che alla liberazione della Bestia Bionda che, con la sua furia, saprà trovare l’equilibrio tra le opposte forze del mercato, e allocare in modo efficiente le risorse.
La collaborazione tra pubblico e privato appare dunque un valore in sé, a patto che alcune condizioni siano rispettate: la giusta ripartizione dei rischi, da un lato, e la corretta copertura dei ruoli, dall’altro. Vedremo come.
Le forme possibili del partenariato pubblico privato
Codice dei Contratti Pubblici alla mano, rientrano nella nozione ampia di PPP i contratti di partenariato veri e propri, le operazioni di finanza di progetto, la locazione finanziaria di opere pubbliche e di pubblica utilità, il contratto di disponibilità. Fuori dalla stretta logica sistematica, ma in realtà senza uscire troppo dal seminato, vi si possono far rientrare anche gli affidamenti di opere e servizi pubblici in concessione, pur se regolati in altro Capo del Codice.
Il tratto comune agli istituti previsti può essere rinvenuto nel mettere a carico del soggetto privato il rischio di mercato (la domanda di godimento del bene o servizio realizzato e gestito dal partenariato), quello di costruzione (come l’appaltatore, il partner privato deve assumere la responsabilità per la realizzazione dell’opera, sotto tutti i profili) e quello di disponibilità.
Corrispettivo del rischio, la possibilità di estrarre dalla gestione il beneficio prodotto dalla sua efficienza realizzativa, organizzativa ed operativa, per un tempo congruo ad assicurare il recupero dell’investimento spesato e il conseguimento di un ragionevole profitto nell’ipotesi che gli assunti di pianificazione economico-finanziaria siano verificati.
Anche se la norma prevede la possibilità del riequilibrio del PEF per assicurare l’equilibrio della gestione, infatti, questo riequilibrio non può e non deve essere utilizzato al fine di sterilizzare il rischio di mercato – non c’è traffico a sufficienza sul ponte che ho costruito per ripagare con i pedaggi l’investimento effettuato nel tempo della concessione: aumentiamo i pedaggi o allunghiamo il periodi di affidamento – ma per il diverso e ben più limitato caso in cui tali effetti si producano in conseguenza di eventi non riconducibili al partner, e si direbbe che debbano altresì avere natura imprevedibile, di guisa che il rimedio del riequilibrio assuma carattere straordinario ed eccezionale, e non invece quello dell’assicurazione dell’Operatore Economico contro il rischio di sovrastima delle potenzialità del mercato.
L’equilibrio nel rapporto di forze tra i partner
Il primo equilibrio da costruire è quello del rapporto (di forze) tra i partner: dove l’uno prevale sull’altro, quest’ultimo soffrirà, scalpiterà e sfrutterà ogni occasione per rivalersi, recuperare, compensare. O si piegherà, vanificando del tutto lo spirito collaborativo alla base dello strumento.
Per questo, l’equilibrio va ricercato nei ruoli, di indirizzo e controllo per il pubblico – i controlli che non devono limitarsi alla fase procedurale di aggiudicazione, ma estendersi, e rafforzarsi, a quella gestionale di esecuzione – e di apporto di risorse, competenze, tecnologie, per il privato. Senza cedere alla lusinga di promesse mirabolanti, senza falsare la credibilità delle assumption.
La finanza di progetto (project financing), in questo senso, con l’intervento palese o in secondo piano degli istituti di credito che sovvengono le realizzazioni affidandosi solo alla redditività dell’iniziativa ed alle capacità del promotore di realizzarla e gestirla con adeguati livelli di efficienza, ponendo vincoli (i cosiddetti covenant) alla gestione finanziaria del veicolo di investimento, sembra in qualche misura lo strumento più evoluto di attuazione del PPP.
E non solo per la rigidità della disciplina contrattuale, del security package che accompagna l’intervento bancario, ma proprio per la presenza di questo soggetto terzo al PPP, fuori dalla tensione autorità-gestore, da cui possono derivare fattori di riequilibrio importanti.
PPP: luci e ombre
Detto altrimenti, il modello contrattuale per le operazioni di partenariato messo a punto da MEF e ANAC (che, guarda caso, si intitola Guida (alle PP.AA.) per la redazione di un contratto di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche in PPP è certamente uno strumento utilissimo per la definizione disciplinare dei rapporti. Ma l’assenza di un arbitro terzo e indipendente dal rapporto, che regoli gli scambi e le condotte degli attori, ne inficia l’efficacia.
Soprattutto – e concludiamo – laddove si consideri che (lo rileva la stessa ANAC nell’indagine da poco pubblicata soprattutto negli enti locali di minori dimensioni (che sono la maggior parte del totale) la inevitabilmente scarsa, e scarna, dotazione competenziale degli apparati tecnici rischia di limitare la funzionalità dello strumento, per difetti concettuali nella progettazione tecnica ed amministrativa delle operazioni. Si vedono documenti di gara che addossano alle Amministrazioni i rischi, progetti inadeguati che innescano difficoltà e contenziosi (poi risolti con onerosissime varianti) in sede di esecuzione.
Lo sviluppo competenziale delle Stazioni Appaltanti e quello competitivo degli Operatori Economici da coinvolgere nelle procedure di affidamento appaiono gli interventi prioritari nel settore, per mettere veramente a terra la potenza di fuoco generata dall’imminente ed auspicata attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.