La redazione di LUMI4innovation ha chiesto ad alcuni professionisti di entrare nel vivo di una serie di argomenti, tra cui spicca quello del Partenariato Pubblico Privato o PPP. E’ il caso della collaborazione avviata con l’Avv. Renato Conti, esperto di Diritto Amministrativo, Diritto Commerciale e Contratti Pubblici.
Dopo un’introduzione storica sull’opposizione (e la successiva collaborazione) tra i settori pubblico e privato, nelle prossime settimane saranno approfondite tematiche legate al PPP, al project financing e alle varie forme di contratto.
Collaborazione tra settori pubblico e privato: un po’ di storia
Il cosiddetto pendolo della Storia lascia frequentemente intravvedere drammatici cambiamenti di direzione nell’orientamento politico e collettivo circa il rapporto che deve sussistere tra settori pubblico e privato. Si passa con relativa facilità dalla stagione del tutto pubblico a quella delle privatizzazioni, e viceversa, testimoniando nei fatti come manchino chiari indicatori oggettivi, e sia piuttosto il preconcetto ideologico a indirizzare le scelte.
Il concetto di pubblico è antico, anche se per certi versi meno di quanto si possa pensare, almeno se lo si interpreta in contrapposizione a quello di privato: nell’antica Roma la differenza tra ius publicum e ius privatorum non esisteva, assumendo anche le attività più personali un rilievo assolutamente pubblicistico.
L’elaborazione dei due concetti come opposti risale all’età feudale, con riferimento alla proprietà, terriera, e ai diritti spettanti (concessi dal sovrano, o dal signore locale, o acquistati per consuetudine o altrimenti) ai cittadini del contado, che possono godere in forma collettiva del diritto di raccolta dei frutti e della legna morta del bosco, o di pesca dal torrente, sicché questi beni assurgono a una funzione in qualche modo pubblica perché rivolti alla soddisfazione di un bisogno indistinto della generalità degli abitanti.
Acceleriamo l’esame, e troviamo nelle più recenti codificazioni post-illuministiche la distinzione tra proprietà pubblica, demaniale, consistente in un insieme di beni che lo Stato utilizza per il compimento delle proprie finalità, e proprietà privata, intesa come potere di disposizione sul bene e godimento esclusivo dello stesso, una forma di proprietà che, a dispetto del suo nome, può essere esercitata anche dallo Stato stesso (i cosiddetti beni patrimoniali), con ciò realizzando il suo ingresso nell’arena economica.
A metà del XIX Secolo la riflessione pubblico-privato si spinge a considerare l’area dei servizi, riproponendo il dilemma sull’attribuzione della qualità di pubblico al solo dato soggettivo – la natura del soggetto che eroga il servizio – o invece quello oggettivo-teleologico, l’essere il servizio destinato al soddisfacimento di un bisogno diffuso dei cittadini.
Il dibattito si anima tra gli esperti della Scienza delle Finanze, come Wicksell e Montemartini, che si interrogano sui presupposti pratici che giustifichino l’intervento dello Stato nell’attività economica, fermo restando che per alcuni servizi la matrice pubblica coincide con la funzione e caratterizzazione ontologica stessa dello Stato: il conio, l’amministrazione della Giustizia, il monopolio dell’uso legittimo della forza.
L’ingresso del pubblico nella produzione
Il potere di coazione che solo lo Stato può esercitare nei confronti dei cittadini, imponendo il prelievo dei corrispettivi di servizio sotto forma di imposte, viene finalmente identificato come unica giustificazione dell’ingresso del pubblico nella produzione: si preleva il costo dalle tasche di tutti i contribuenti a vantaggio della sola classe di essi che può realmente beneficiare del servizio in questione. Si pone così, fra l’altro, il problema dei servizi indivisibili, di quelli a beneficio indifferenziato, da contrapporre a quelli il cui consumo è invece personale e misurabile.
Si pone, anche, il problema del profitto che dall’attività produttiva così concepita lo Stato può ricavare: se, cioè, sia astrattamente concepibile e legittimo che lo Stato persegua un profitto, innanzi tutto, e che sorte debba essere attribuita a tale ricchezza, nella positiva. Da un lato, estrarre profitto da una attività per finanziare con esso l’erogazione di una altro servizio costituisce un’estensione delle possibilità della finanza pubblica, dall’altro esso rappresenta un prelievo fiscale del tutto ingiusto e sperequato, perché – di nuovo – non vi è coincidenza tra i beneficiari di questa e i pagatori di quella; dall’altro, l’obbligo di reinvestire i profitti nell’attività di produzione del bene o servizio che li ha generati, alla base del sistema delle aziende municipalizzate che videro la luce nel 1903 con la Legge Giolitti (del tutto ispirata dagli studi di G. Montemartini) si rivela una panacea solo teorica, perché capace, in realtà, solo di deresponsabilizzare gli amministratori di quella entità produttiva.
Il profitto, infatti, è il metro di misura della capacità gestionale, mentre in un regime di bilanci vincolati al reinvestimento o, peggio, al pareggio, non c’è merito, ma eventualmente corsa allo spreco, per dimostrare di aver messo a frutto tutta la dotazione disponibile, anche al di là dell’effettivo fabbisogno. E la conferma dei manager nell’incarico è, per tutta evidenza, legata a ben altro che al loro merito. La storia delle imprese pubbliche è costellata di esempi, che non vale la pena citare.
Renato Conti – www.renatocontilawoffices.net
Avvocato abilitato in Italia e Spagna, titolare di proprio studio legale in Roma, si occupa di consulenza e assistenza legale e processuale nei settori di affari che si collocano a cavaliere tra il Diritto Amministrativo e quello Commerciale, privilegiando gli aspetti operativi dei Servizi e dei Contratti Pubblici, i profetti infrastrutturali e le concessioni di servizio.
Già responsabile degli Affari Legali e Societari di ACEA SpA, dal 2014 collabora con PW ACS Italia, curando gli aspetti regolatori e contrattuali per conto di operatori, investitori ed amministrazioni. In 30 anni di carriera internazionale si è occupato di tlc, energia, acqua, rifiuti e tpl, interessandosi attivamente alle politiche organizzative e istituzionali.
Professore a contratto di International Business Law presso la Facoltà di Economia della UNINT – Università Internazionale di Roma, formatore accreditato presso l’ITA – Italian Trade Agency per i progetti di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, è autore di numerose pubblicazioni e interventi a pubblici convegni di studio sui temi della propria attività professionale.