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Smart grid: cos’è e cosa significa
Le smart grid sono reti elettriche intelligenti basate sulla digitalizzazione e sulla generazione distribuita dell’energia. Eccone caratteristiche e vantaggi.
Quando si parla di fonti rinnovabili, è naturale pensare immediatamente alle tecnologie più note e più visibili, quali naturalmente eolico e fotovoltaico. In realtà, però, queste due risorse hanno a che fare soltanto con una fetta specifica – seppur importante – del mondo energetico, vale a dire la produzione e consumo di energia elettrica.
L’elettricità, infatti, rappresenta soltanto un segmento del mondo dell’energia, al momento peraltro nettamente minoritario: nell’Unione Europea (che pure è uno dei continenti di maggiore e più antica elettrificazione) rappresenta circa il 22% della domanda finale di energia. Che, oltre all’elettricità, si compone dell’energia termica (usata per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti), nonché dei consumi legati ai carburanti del settore trasporti, in entrambi i casi assicurati spesso e volentieri dall’utilizzo diretto di combustibili di origine fossile (gas e prodotti petroliferi).
L’energia termica deriva dalla somma dell’energia cinetica presente in tutti gli atomi facenti parte di un dato elemento. L’energia termica può essere prodotta attraverso la combustione, mediante reazioni nucleari oppure sfruttando l’effetto Joule per produrre calore.
Le rinnovabili termiche sono una fonte di energia pulita: esse consentono infatti di produrre calore a temperature utili a diversi impieghi. Le principali modalità di produzione di energia rinnovabile a partire dal calore interessano gli impianti a biomassa, a pompe di calore e a solare termico.
Quello che forse è ancora meno noto è che, nell’ambito dei suoi obiettivi in materia di energia e ambiente, l’Unione Europea intende favorire la diffusione delle energie rinnovabili anche nei settori termico e dei trasporti, data la loro incidenza sui consumi energetici complessivi. In Italia, infatti, riscaldamento e raffrescamento incidono sul fabbisogno nazionale per 56 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), pari a poco meno del 50% dei consumi finali di energia complessivi.
Diventa, dunque, fondamentale spingere sulle rinnovabili termiche – che presuppongono l’impiego delle fonti pulite per il riscaldamento e il raffrescamento – da utilizzare sia in ambito civile che industriale. Parliamo di tecnologie come il solare termico, la geotermia, il teleriscaldamento, le stufe a biomassa, le pompe di calore e la cogenerazione (quando utilizza la biomassa come materia prima).
Queste risorse, secondo gli ultimi dati resi disponibili da Eurostat, nel 2018 hanno rappresentato il 21% dell’energia totale utilizzata per il riscaldamento e il raffreddamento nell’Unione europea. Questa quota è aumentata costantemente dal 2004, quando si attestava intorno al 12%, principalmente per effetto delle politiche di incentivazione adottate dai Paesi membri per raggiungere gli obiettivi al 2030.
In realtà, però, la situazione è molto a macchia di leopardo, con i Paesi nordici che, grazie allo sfruttamento della geotermia, sono parecchio avanti: in Svezia, quasi due terzi (65%) dell’energia utilizzata per il riscaldamento e il raffreddamento nel 2018 deriva da fonti rinnovabili.
Similmente, più della metà dell’energia termica proviene da fonti energetiche rinnovabili in Lettonia (56%), Finlandia (55%) ed Estonia (54%). Al contrario, ci sono Paesi dove le fonti rinnovabili hanno contribuito meno al riscaldamento e al raffreddamento: Irlanda e Paesi Bassi (entrambi il 6%), Belgio (8%) e Lussemburgo (9%). L’Italia, nel 2018, era poco sotto la media europea, con un 19%. Il che denota una certa fatica del nostro Paese nello spingere queste fonti che, fino a pochi anni fa, prima dell’emanazione del Conto Termico, non disponevano neppure di un sistema di incentivazione dedicato.
Nel prossimo decennio, però, le FER termiche italiane sono chiamate a cambiare passo, così da raggiungere l’ambizioso obiettivo del 33% stabilito dal PNIEC per il 2030.In quest’ottica, la strategia è quella di modificare le normative e gli strumenti di sostegno per spingere le tecnologie termiche più promettenti.
Sulle biomasse solide – spesso accusate di essere “pulite” solo di facciata, ma di comportare problemi soprattutto in termini di emissioni di polveri sottili – i meccanismi di promozione dovranno favorire gli impianti ad alta qualità ambientale e ad alta efficienza. Saranno, perciò. introdotti nei prossimi anni requisiti prestazionali e ambientali più stringenti per i generatori di calore a biomassa. Possibile anche l’introduzione di vincoli di sostituzione di apparecchi di riscaldamento obsoleti e di obblighi di controlli e manutenzione periodica per gli impianti a biomasse.
Per favorire la diffusione del solare termico, tecnologia per la quale non si è assistito finora a una crescita rilevante, sarà aggiornata la normativa riguardante l’integrazione obbligatoria di una quota minima di fonti rinnovabili negli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti.
Inoltre, per favorire l’installazione di impianti solari termici che possano sopperire alla domanda di calore in maniera più elastica ed efficace (ad esempio coprendo il fabbisogno per il servizio di riscaldamento degli edifici), si punterà a a promuovere anche i sistemi ibridi. Per le pompe di calore, il PNIEC raccomanda un approccio tecnologicamente neutro, lasciando al mercato la selezione dell’opzione più efficiente per ogni applicazione, valorizzando anche l’apporto in modalità raffrescamento e spingendo sulla geotermia a bassa entalpia.