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Diagnosi energetica volontaria vs obbligatoria: cosa occorre sapere e i benefici da cogliere

Diagnosi energetica volontaria vs obbligatoria: cosa occorre sapere e i benefici da cogliere

Diagnosi energetica volontaria… si può fare? La risposta è sì. Non si tratta infatti soltanto di un vincolo di legge per le aziende più grandi e per le imprese energivore, ma un’opportunità di fare efficienza per tutte le Pmi del panorama italiano.

Se l’efficienza energetica è ancora una miniera parzialmente inesplorata, la diagnosi energetica può essere il primo, importante passo per far luce su questo potenziale e conseguire diversi benefici. Per le imprese, di qualsiasi dimensione, ottimizzare la gestione energetica è cruciale innanzitutto per tagliare bollette spesso pesanti: ARERA – Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente quest’estate nel rapporto annuale ha rilevato come nel 2019 è tornato a crescere il divario con i prezzi medi dell’Eurozona, con i clienti industriali che nel 2019 continuano a pagare prezzi più alti della media dell’Area Euro, per tutte le classi, preceduti in peggio solo da Germania e Regno Unito.

Diagnosi energetica volontaria: obiettivi UE e necessità aziendali

Alla necessità di tagliare i costi c’è l’urgenza di cominciare a elevare il tasso di efficientamento energetico del comparto industriale: grandi, piccole e medie imprese devono contribuire a centrare gli obiettivi posti dalla Commissione europea anche in termini di riduzione delle emissioni di gas serra. Il traguardo atteso è di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Per riuscire in questo dovrà quindi aumentare l’efficienza energetica: l’obiettivo dovrebbe essere alzato a circa il 36-37% rispetto al 32,5% dell’attuale normativa.

Con una diagnosi energetica (anche su base volontaria) e con la conseguente applicazione d’interventi di efficientamento specifici è possibile ridurre i propri consumi energetici attraverso un aumento dell’efficienza energetica dell’impresa, l’incidenza della spesa energetica sul proprio fatturato e le emissioni di CO2 e gas serra.

Ma come si devono muovere le aziende? Quali aspetti devono considerare, i benefici, gli incentivi e quali le difficoltà? Vediamo di fornire qualche risposta.

Diagnosi energetica: per chi è obbligatoria e per chi volontaria

La Direttiva Europea 2012/27/UE sull’Efficienza Energetica, definisce la diagnosi energetica, o audit energetico, come:

“una procedura sistematica finalizzata a ottenere un’adeguata conoscenza del profilo di consumo energetico di un edificio o gruppo di edifici, di una attività o impianto industriale o commerciale o di servizi pubblici o privati, a individuare e quantificare le opportunità di risparmio energetico sotto il profilo costi-benefici e a riferire in merito ai risultati.”

A proposito, la norma di riferimento è il D.Lgs. 102/2014 che introduce l’obbligo per tutte le grandi imprese e le imprese energivore all’esecuzione di una diagnosi energetica.

Se l’obbligatorietà riguarda per lo più grandi imprese e le energivore, ovvero quelle iscritte nell’elenco annuale CSEA – Cassa per i servizi energetici ambientali, la diagnosi energetica volontaria riguarda principalmente le Pmi.

I numeri ci dicono che sono state più di 11mila le diagnosi energetiche inviate all’ENEA alla scadenza di legge del 22 dicembre 2019. Purtroppo, però, non è possibile conoscere l’esatto numero delle imprese che hanno intrapreso il percorso diagnostico volontario.

In ogni caso per tutte le imprese, la diagnosi energetica va pensata come il primo passo nello sviluppo di un piano di energy management aziendale. Il suo scopo è comprendere come viene utilizzata l’energia all’interno dell’azienda e identificare eventuali inefficienze o potenziali di miglioramento, in modo da poter ridurre i costi e aumentare la propria efficienza.

Nelle Linee Guida per la Diagnosi Energetica nelle Piccole e Medie Imprese, pubblicate quest’estate, ENEA e Casaclima specificano inoltre che:

“La diagnosi energetica costituisce il principale strumento di analisi energetica a disposizione dell’impresa: solo attraverso l’audit si può capire come consuma energia e dove bisogna intervenire per migliorarne l’utilizzo”.

Diagnosi energetica: cosa fare e perché farlo

Cosa significa fare una diagnosi energetica in pratica? «Significa ricostruire in maniera dettagliata il percorso energetico aziendale, in termini consumi di ogni macchina e attrezzatura capace di assorbire energia. Questo insieme viene calcolato, prendendo in considerazione le potenze delle varie tecnologie in campo moltiplicate per il numero di ore lavorate al giorno per i giorni lavorativi: tutto questo insieme deve costituire la totalità dei consumi, con una minima tolleranza (+/- 5%)», spiega Fabio Capellini, fondatore e titolare di CR Servizi, ESCo Certificata UNI CEI 11352/214 attiva nel settore energetico e fornitrice di servizi energetici.

«Il lavoro di calcolo complessivo implica anche un sopralluogo delle strutture, la raccolta capillare dei dati, la loro elaborazione, la creazione di indicatori di prestazione energetica all’interno della diagnosi, che comprenderà anche gli interventi proposti di efficientamento energetico».

Alla diagnosi preliminare c’è poi una successiva, da svolgere ogni 4 anni, richiesta da ENEA e dal Mise, che presuppone l’impiego di strumenti di misurazione per monitorare l’andamento dei consumi.

Ma perché un’azienda dovrebbe intraprendere un percorso di diagnosi energetica volontaria? «Per individuare, attraverso l’analisi, le aree d’intervento dove migliorare il proprio tasso di efficienza energetica. Con la diagnosi è possibile focalizzare le criticità», segnala il titolare dell’ESCo che è impegnata nel supportare le imprese in questo percorso. «Specialmente mediante la diagnosi mediante strumenti di misura è possibile comprendere davvero come l’azienda effettivamente consumi. Da qui la dirigenza può prendere decisioni consapevoli e mirate per il risparmio energetico», specifica ancora il founder di CR Servizi.

Importanza e benefici della diagnosi energetica

Mettere in campo un intervento di monitoraggio energetico dell’impresa significa conoscere meglio il suo funzionamento, la sua intima essenza. «Dalla nostra esperienza, le imprese che hanno intrapreso la diagnosi energetica hanno scoperto “un nuovo mondo”, con grandi vantaggi non solo legati al risparmio, ma alla gestione complessiva».

Ma quali sono i risparmi attesi sui consumi grazie alla diagnosi energetica e al relativo monitoraggio? «Il discorso è complesso, perché ogni impresa ha una storia, contesti e consumi peculiari: in ogni caso il risparmio possibile varia dal 10% al 30% annuo circa», risponde Capellini.

Sugli strumenti da mettere in campo per monitorare e operare la diagnosi oggi le possibilità spaziano ampiamente, considerando innovazioni quali l’Internet of Things e anche l’Intelligenza Artificiale. Non è esclusa nemmeno la Blockchain: «l’importante è che negli strumenti ci sia la flessibilità necessaria per rendere fluida l’azione».

Inoltre, la possibilità di eseguire un monitoraggio periodico costante è un vantaggio considerevole perché si può controllare l’effettivo percorso e intervenire prontamente se necessario.

Incentivi per la diagnosi energetica volontaria

La diagnosi energetica volontaria può contare anche su incentivi: Regione Lombardia, per esempio, riconosce un contributo alle PMI che intendano realizzarla oppure ad aderire al sistema di gestione dell’energia ISO 50001. Prevede un contributo a fondo perduto, finalizzato a coprire il 50% delle spese ammissibili, non superiore a 8mila euro per la prima ipotesi e a 16mila per la seconda.

Seppure non collegata direttamente all’ottenimento dei Certificati Bianchi, la diagnosi è comunque un buon viatico: i Titoli di Efficienza Energetica certificano il conseguimento di risparmi negli usi finali di energia attraverso interventi e progetti di incremento dell’efficienza energetica. «Se nella diagnosi si evidenziano delle aree dove fare efficientamento energetico, svolgendo poi interventi mirati e certificati, questo processo virtuoso permette di accedere al meccanismo incentivante dei TEE», rileva il titolare dell’ESCo.

Diagnosi energetica volontaria: quali sono gli ostacoli al suo sviluppo

Sono due gli ostacoli che finora hanno limitato lo sviluppo della diagnosi energetica: la mancanza di una cultura dell’efficienza energetica e la burocrazia.

«Nel primo caso manca ancora la mentalità di guardare oltre il semplice risparmio energetico o, nel caso di diagnosi obbligatoria, il mero assolvimento di un adempimento fine a se stesso – conclude Capellini – Dall’altra parte, il percorso volontario dovrebbe essere tale e non sottoposto a un obbligo di asseverazione dopo quattro anni. Manca l’elasticità necessaria a renderla un percorso virtuoso e premiante, mirato a contribuire, tra l’altro, al processo di decarbonizzazione che l’UE intende centrare entro il 2050».

Giornalista freelance specializzato in tecnologia e in modo particolare in tematiche che hanno un impatto significativo sulla vita quotidiana e su quella futura: smart energy, smart building, smart city.