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Edilizia e immobiliare alla prova della digital transformation. Una rivoluzione culturale e tecnologica colta dalle startup: lo spiega Andrea Ciaramella, docente del Politecnico di Milano
La trasformazione digitale è destinata a entrare nel settore immobiliare e nel mondo dell’edilizia. il cambiamento nel real estate e nel mondo delle costruzioni avverrà, specie in Italia, molto probabilmente grazie alle startup. Sono le imprese innovative a proporre nuove soluzioni, grazie alla tecnologia, ma soprattutto, grazie a una mentalità differente da quella tradizionale.
Lo conferma Andrea Ciaramella, docente di tecnologia dell’architettura presso il dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano. «Molti attori tradizionali stanno interpretando questa trasformazione in atto nel real estate ed edilizio unicamente come la necessità di ricorrere a strumenti di nuovo tipo. Tuttavia, la vera trasformazione si può attuare unicamente con una rivoluzione di tipo culturale.
Se condividiamo il pensiero secondo cui “il mattone” continuerà ad avere mercato solo se sarà ricco di contenuti, in forma di servizi o informazioni veicolati su canali per lo più non fisici, è evidente che non si tratta esclusivamente di predisporre strumenti capaci di trasformare digitalmente dei processi tradizionali, ma è molto più radicale. Implica, infatti, cambiamenti nel modello di business, negli stessi mercati di riferimento.
Non è un caso che spesso tale evoluzione la riescano a interpretare più facilmente società giovani o startup rispetto alle grandi realtà o operatori tradizionali: questi ultimi sono abituati a percorrere un modello di business tradizionale».
Il Politecnico di Milano, attraverso il Proptech Monitor ha mappato questo fenomeno composto da startup riconducibili al real estate. Bene, dal 2018 le startup italiane sono raddoppiate e oggi si contano circa 80 società di nuova generazione in grado di erogare servizi innovativi, riempiendo un vuoto di mercato che gli operatori tradizionali non hanno saputo colmare. Tali realtà tendono ad adottare soluzioni e tecnologie innovative per svolgere attività tradizionali, aprendo a una gamma di nuove attività e servizi e a nuovi mercati che i giovani hanno saputo interpretare.
Il mondo delle costruzioni tradizionale aveva un modello di business basato sullo sviluppo dell’area, sulla differenza costi/ricavi che consentiva di contare su marginalità molto importanti. Tale modello è tramontato definitivamente. Il real estate tradizionale, per parte sua, non è stato capace di interpretare taluni cambiamenti intervenuti repentinamente. Un esempio: solo di recente molti si sono resi conto che lo studentato universitario è una tipologia immobiliare particolarmente interessante.
Ma in una città come Milano, che conta 180mila studenti, non era difficile pensare a un trend di mercato significativo; occorreva e occorre, però, interpretarlo nel modo adeguato, non solo progettando un determinato tipo di edificio, ma riempiendolo di servizi in buona parte immateriali. Se non si dotano gli studenti di strumenti quali la banda larga, se non si offre loro la possibilità di lavorare in maniera rapida, garantendo anche spazi per lavorare in team, qualunque tipo di soluzione rischia di non avere successo.
Secondo la mappatura effettuata, sono state individuate quattro macro categorie:
A proposito di quest’ultima categoria, però, si registra uno sviluppo meno significativo. Quando il protagonista è l’edificio e servono soluzioni “fisiche” si assiste a una certa rarefazione di startup. Quindi, c’è molto da fare su quest’ultimo settore in termini di soluzioni e servizi dedicati agli edifici intelligenti. Inoltre, rispetto agli altri settori nei quali le startup spesso sono fondate da soggetti provenienti da ambiti non legati all’edilizia o all’immobiliare, nel caso dello smart real estate i fondatori hanno tendenzialmente un profilo e un’esperienza tecnica legata a questi settori tradizionali.
Una delle più interessanti è la realtà virtuale: può essere di grandissimo aiuto e destinata ad avere prospettive importanti; un’altra opportunità è legata alle soluzioni per la manutenzione, che permettono di visualizzare a distanza particolari tecnici in un cantiere e valutare interventi con una elevata definizione senza dover essere fisicamente presenti.
C’è poi il tema dell’uso degli edifici: in questo caso la sensoristica IoT è una realtà consolidata e interessante; l’unico ostacolo è rappresentato dalla possibilità di un pieno utilizzo dei dati. Su questo versante, ovvero sul fronte delle informazioni, basilari per il processo progettuale, costruttivo e gestionale, si gioca la sfida del futuro. In ogni caso serve un cambio di mentalità: occorre cambiare un modo di pensare legato al prodotto per andare verso una logica as a service, basandosi su dati e informazioni.
Non sono convinto che servano nuovi percorsi. Serve invece innestare nei giovani, di per sé molto inclini al cambiamento, quali siano le nuove logiche con cui si dovrà operare in futuro. E le generazioni oggi formate a livello universitario sono già naturalmente orientate a questo tipo di percorso. Occorre, a mio avviso, trasferire nella mentalità delle giovani leve la capacità di leggere i cambiamenti, offrendo loro gli strumenti adatti. Quindi bisogna continuare a formare, a livello universitario, ingegneri e architetti in questa prospettiva, insieme alla volontà di lavorare insieme. L’orientamento all’interdisciplinarietà, all’integrazione professionale, all’allargamento della propria visione sono tutti aspetti di un atteggiamento culturale in grado di facilitare l’interpretazione del cambiamento e fornire la giusta prospettiva.