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Decarbonizzazione: Cos’è, Come Funziona e la Situazione in Italia
Strategie e obiettivi della decarbonizzazione e della neutralità climatica. Cosa prevede e qual è la situazione dell’Italia rispetto agli obiettivi europei.
La carbon capture può essere una soluzione per ridurre il quantitativo di CO₂ in continua crescita? In base alle analisi del Global Monitoring Lab della NOAA, la media globale di anidride carbonica atmosferica è stata di 414,72 parti per milione nel 2021, stabilendo un nuovo record nonostante il continuo freno economico causato dalla pandemia. Serve quindi mettere in atto contromisure che possano frenare, anche sotto forma di cattura, sequestro (e uso) l’aumento del diossido di carbonio.
Lo stesso Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, ha sottolineato la necessità di porre rimedi capaci di ridurre la quantità di CO₂ e che possano passare anche dalla carbon capture. Inoltre alcuni Paesi, tra i quali si segnalano USA, Regno Unito e Australia, hanno manifestato l’intenzione di investire in maniera sensibile sullo sviluppo di soluzioni tecnologiche dedicate. Le potenzialità sulla carta ci sarebbero, ma non mancano dubbi e anche posizioni critiche.
Quando si parla di carbon capture, si intende la cattura dell’anidride carbonica. La tecnologia esiste da decenni. Già nel 1972 si segnala l’impianto di trattamento di gas naturale di Terrell, in Texas che ha iniziato a fornire anidride carbonica attraverso il primo oleodotto di CO₂ su larga scala e su lunga distanza a un giacimento petrolifero. L’applicazione della tecnologia carbon capture alla generazione energetica è però relativamente recente.
Le prime applicazioni commerciali della cattura di carbonio si sono concentrate su alcuni processi industriali che rimuovono l’anidride carbonica in flussi concentrati come parte delle normali operazioni. Per altri processi industriali e per la generazione di energia elettrica, i sistemi attuali devono essere riprogettati per catturare e concentrare l’anidride carbonica, di solito utilizzando la cattura del carbonio pre o post combustione.
Sono tre i sistemi di cattura dell’anidride carbonica a livello industriale:
Quando si parla di carbon capture si aggiunge di solito un passaggio fondamentale: lo storage. Da qui si parla di CCS. La Carbon Capture and Storage consiste nella cattura delle emissioni di CO₂ provenienti da processi industriali, come la produzione di acciaio e cemento, o dalla combustione di combustibili fossili nella produzione di energia.
Il processo di CCS si articola in tre fasi: cattura dell’anidride carbonica; trasporto e stoccaggio. Nella prima fase il diossido di carbonio viene separato dagli altri gas prodotti nei processi industriali, come quelli delle centrali elettriche a carbone e a gas naturale o delle fabbriche di acciaio e cemento. Una volta catturata e compressa, si procede al suo trasporto, mediante condutture, trasporto stradale o navale in un sito per lo stoccaggio. A questo punto la CO₂ viene iniettata in formazioni rocciose in profondità per lo stoccaggio permanente, in falde acquifere saline o in giacimenti di petrolio e gas esauriti.
Oltre alla CCS c’è la CCU, che sta per Carbon Capture Utilisation. L’idea è che, invece di immagazzinare il carbonio, lo si possa riutilizzare nei processi industriali convertendolo nella produzione di plastica, in carburante oppure in altri prodotti (tra questi quelli alimentare e delle bevande, per esempio).
C’è poi la CCUS (Carbon Capture Utilisation and Storage) che prevede la cattura di CO₂ da grandi fonti puntuali, tra cui impianti di produzione di energia o industriali, oppure direttamente dall’atmosfera. Se non viene utilizzata in loco, l’anidride carbonica catturata viene compressa e trasportata tramite conduttura, oppure mediante trasporto via nave, treno o camion per essere utilizzata in una serie di applicazioni, oppure iniettata in formazioni geologiche profonde che intrappolano la CO₂ per lo stoccaggio permanente. Come ricorda IEA, attualmente gli impianti CCUS di tutto il mondo hanno la capacità di catturare più di 40 Mt di CO₂ all’anno.
Segnaliamo per completezza anche la Bioenergy with Carbon Capture and Storage (BECCS). Si tratta di un processo che utilizza la biomassa come fonte energetica e la cattura e lo stoccaggio permanente del diossido si carbonio prodotto durante la conversione della biomassa in energia.
Le tecnologie di CCUS sono potenzialmente in grado di catturare più del 90% delle emissioni di anidride carbonica provenienti da centrali elettriche e impianti industriali, secondo il Center for Climate and Energy Solutions, organizzazione ambientale no-profit statunitense.
L’anidride carbonica catturata può essere utilizzata per il recupero del petrolio e per la produzione di carburanti, materiali da costruzione e altro ancora, oppure può essere immagazzinata in formazioni geologiche sotterranee.
Per quanto riguarda lo stato dell’arte degli impianti, C2Es conta 26 progetti di cattura del carbonio su scala commerciale sono in funzione in tutto il mondo, mentre altri 21 sono in fase di sviluppo iniziale e 13 in fase di sviluppo avanzato, fino a raggiungere la progettazione ingegneristica preliminare.
Secondo il rapporto 2019 del Global CCS Institute emergono cifre differenti: 51 impianti CCS su larga scala a livello globale; 19 delle quali in funzione, 4 in costruzione e i restanti in varie fasi di sviluppo.
A che punto sia la tecnologia lo spiega IPCC Italia:
“le tecnologie CCS sono ancora in larga parte in fase prototipale. Ciò significa che anche se in alcuni contesti vengono testate o persino utilizzate, non sono ancora disponibili per l’utilizzo commerciale su larga scala”.
La stessa segnala che lo scorso anno, gli impianti CCS commerciali operativi o in costruzione in tutto il mondo erano 31, con una capacità di catturare 40 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno.
Una ricerca del Global CCS Institute indica che la CCS a livello mondiale metteva in luce che dovrà crescere almeno più di cento volte entro il 2050 se si vogliono raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi. Questo comporterebbe la costruzione di 70-100 impianti all’anno.
Secondo un rapporto del 2021 realizzato da ricercatori del Tyndall Center for Climate Change Research del Regno Unito, “la tecnologia deve ancora affrontare molte problematiche, comincerebbe a dare risultati troppo tardi, dovrebbe essere distribuita su vasta scala a un tasso scarsamente credibile e fino ad ora è stata teatro di promesse troppo ottimistiche e risultati inferiori alle aspettative”.
Toshikazu Ishihara, ricercatore senior presso il think tank indipendente Renewable Energy Institute ha affermato che «non solo queste tecnologie non sono in gran parte provate ma, soprattutto in Giappone, non abbiamo abbastanza luoghi adatti per stoccare le grandi quantità di carbonio che dovrebbero essere catturate».
Tra le voci critiche c’è anche Greenpeace. Il direttore esecutivo di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, ha scritto sulla tecnologia:
“L’idea di “catturare” la CO₂ al camino di un impianto, intubarla e stoccarla nel sottosuolo – magari avendola “utilizzata” in qualche processo industriale – è l’obiettivo perseguito dall’industria fossile da oltre un ventennio con risultati finora deludenti e avendo bruciato molti miliardi.”
Tuttavia, va anche segnalato come l’Agenzia internazionale dell’Energia reputi la CCUS l’unico ambito tecnologico in grado di contribuire a ridurre direttamente le emissioni in settori chiave e a rimuovere la CO₂ per bilanciare le emissioni.
A proposito invece di investimenti, secondo BloombergNEF, quelli globali hanno raggiunto i 2,3 miliardi di dollari nel 2021, con un decremento di 0,7 miliardi di dollari rispetto al 2020. Secondo BNEF, gli investimenti sono diminuiti perché gli sviluppatori cercano di ottenere di più grazie al calo dei costi di cattura. “Mentre il settore si muove verso progetti su larga scala, l’investimento totale è determinato dal fatto che alcuni progetti raggiungano una decisione finale di investimento”. Non manca di segnalare, tra gli accordi più importanti annunciati nel 2021 vi sono la FID di Santos per il progetto Moomba in Australia, del valore di 165 milioni di dollari, e i 500 milioni di dollari impegnati dal governo e dall’industria del Regno Unito per lo sviluppo di cluster CCS. Anche i settori emergenti, come la cattura diretta dell’aria, hanno fatto progressi: la startup CarbonCapture ha raccolto 35 milioni di dollari.
Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti sta annunciando un massiccio investimento in progetti di rimozione diretta del carbonio dall’aria, nella speranza di dare il via a un’industria che, secondo gli esperti di energia, è fondamentale per tenere sotto controllo le emissioni del Paese che riscaldano il pianeta. Lo stesso DOE ha pubblicato un bando di concorso per quattro hub di cattura diretta dell’aria, ciascuno in grado di rimuovere oltre un milione di tonnellate di CO₂ all’anno, utilizzando 3,5 miliardi di dollari della Bipartisan Infrastructure Law.
Così si torna a parlare di CCS, di CCU e di CCUS anche attraverso le novità che si fanno strada. L’impianto Orca, in Islanda è una di queste: la società realizzatrice, Climeworks punta a rimuovere dall’aria 4.000 tonnellate di anidride carbonica l’anno. In Italia si segnala il progetto di ENI denominato CCS Ravenna Hub per la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica, al largo di Ravenna: una soluzione progettata per riconvertire come siti di storage permanente di CO₂ i giacimenti esauriti dell’Adriatico.