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Sugli assi di Milano si progetta la futura shared, smart city

Sugli assi di Milano si progetta la futura shared, smart city

Milano, regina italiana delle smart city, si prepara a un profondo restyling. È quello che avverrà grazie a Milano Future City, progetto firmato da Metrogramma e da Federico Parolotto di Mobility in Chain coadiuvato da Volvo e IDD Innovation Design District. L’obiettivo è la rigenerazione di dieci assi viari di grande scorrimento: insieme occupano un quarto della superficie rispetto all’intero ambito amministrativo comunale. Il più importante di questi, quello che da Corso Venezia – Buenos Aires si allunga fino a Via Padova è uno dei più lunghi d’Europa e interessa 50mila residenti.

Milano Future City, il restyling di Milano green e smart

Andrea Boschetti
Andrea Boschetti, architetto e cofondatore Metrogramma

Curato da Andrea Boschetti, architetto cofondatore dello studio Metrogramma, è molto probabilmente uno dei più grandi interventi urbanistici della città, considerando la superficie delle dieci aste di viabilità messe in gioco per la trasformazione che permetterà di renderla più smart e sostenibile, ma soprattutto più attenta alla qualità della vita dei suoi cittadini. Una sorta di smart spaces a cielo aperto, che coinvolgerà e si metterà in comunicazione con tutto il tessuto urbano. Ma quanto sarà importante la tecnologia in tutto questo progetto? Quanto conterà gestire il processo di insieme integrato? Lo abbiamo chiesto direttamente al curatore.

Architetto Boschetti, quanto sarà importante l’integrazione tecnologica e di competenze per sviluppare un progetto di tale portata?

Sarà determinante. Un progetto così complesso è impensabile attuarlo senza integrazione: infatti, occorre mettere insieme una serie di componenti, associazioni, cittadini, oltre a naturalmente la PA, che dovrebbe essere traino e guida del progetto. Ma altrettanto importante è l’integrazione di tecnologie, di design, di materiali edili. Naturalmente, entra in gioco anche il software di gestione dei luoghi e degli spazi della città, tema importantissimo in connessione col verde. Per non parlare dell’aspetto dell’energia, che è fondamentale per tutti gli elementi d’innovazione, dall’auto elettrica all’illuminazione pubblica. Si tratta di una filiera complessa, non priva di criticità, perché non c’è abitudine al lavoro sistemico. Quindi, il progetto costituisce una grande rivoluzione anche in questo senso.

È possibile prevedere lo sviluppo di un metodo di lavoro che contempli il concetto di cantiere digitale?

Penso proprio di sì. Il cantiere digitale, in questo percorso di innovazione tecnologica, è uno degli aspetti di interesse e utile da esperire, potendo svolgere un ruolo chiave. Va però considerato il software che sta dietro a tutto: ovvero gli obiettivi e la metodologia del progetto e come esso affronta le problematiche reali.

In occasione di un recente talk dedicato all’architettura e al design, lei ha espresso il concetto di shared city da preferire a quello di smart city. Come si fa a conciliare il tema della condivisione con quello dell’intelligenza, l’uso della tecnologia a favore delle persone?

Servizi, conoscenza e informazione di fatto sono la base di quella che è stata la rivoluzione della nostra epoca, ovvero Internet. Oggi assistiamo alla materializzazione di alcuni di questi aspetti nella vita reale, che sta favorendo la nascita di nuove forme di comunità. Penso, per esempio, alle energy community oppure a tutti i servizi che contemplano forme di consumo collaborativo. Uno degli esempi più comprensibili è quello dei servizi car sharing gestiti con app. In questo senso la tecnologia ha un ruolo determinante, perché abilita un servizio, ma allo stesso tempo crea una comunità di persone. Ecco, tutto questo mondo d’informazioni, conoscenze e servizi costituisce il passaggio dal mondo virtuale a quello reale.

Nel suo concetto architettonico e progettuale lo smart building come va pensato e come s’inserisce nel tessuto urbano?

Il building di oggi è meno aderente all’equazione forma-funzione tipica del secolo scorso. Ci troveremo sempre di più di fronte a contenitori molto flessibili, perché al loro interno gli ambienti devono prestarsi a utilizzi molto diversificati. Mi riferisco, per esempio, al tema del coworking/cohousing e al fenomeno dei residence apartment (oppure appartamenti serviti), elementi oltretutto di straordinaria importanza per ripensare la rigenerazione urbana di gran parte del nostro patrimonio storico. I nuovi edifici saranno dotati di tecnologie molto avanzate per quanto riguarda il risparmio energetico e materiali ecologici, avendo anche quelle caratteristiche di flessibilità che il mondo contemporaneo richiede.

In questo senso la gestione dei dati e l’Internet of Things che ruolo assumono?

Sono fondamentali. Io sono per la liberalizzazione dei dati che le amministrazioni pubbliche detengono a partire dall’analisi dei nostri movimenti. Non dovrebbe neanche essere motivo di richiesta, ma un dovere poterne contare. Purtroppo, troppo spesso è una questione di norme arretrate o demagogiche (legge privacy), ma anche di capacità e competenza della pubblica amministrazione nel distribuire questi dati, trasmetterli, raccoglierli e sistematizzarne il loro uso. Il loro utilizzo potrebbe cambiare moltissimo la progettualità del futuro delle nostre città.

Giornalista freelance specializzato in tecnologia e in modo particolare in tematiche che hanno un impatto significativo sulla vita quotidiana e su quella futura: smart energy, smart building, smart city.