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Contratto EPC e CAM-EPC: come cambia il Contratto di prestazione energetica e il rapporto tra ESCo e Pubblica Amministrazione con il Decreto del MASE
Cosa vuol dire fare innovazione urbana?
È una domanda con una risposta certamente non immediata, ma che ha senso provare a smarcare per capire in quale perimetro siano inserite le più importanti sfide del nostro tempo.
Tralasciando quanto sia diventato inflazionato il concetto stesso di “innovazione” dobbiamo forse partire dicendo che l’innovazione urbana è qualcosa di estremamente variegato, complesso e allo stesso tempo assolutamente necessario ed inevitabile.
È l’unica risposta possibile alle grandi sfide che le città vivono: innalzamento delle temperature, accesso alle risorse idriche, risposta ai fenomeni climatici, efficientamento dei servizi, sistema dei trasporti e tanto altro.
Da questo lungo elenco, interrotto solo per ragioni di spazio, possiamo desumere il primo punto fermo:
Le città non sono un luogo definito da una istituzione (il Comune) o da una dimensione architettonica.
Le città sono delle piattaforme che investono ogni ambito della vita umana e di tutti gli umani, dal momento che la nostra civiltà è prettamente una civiltà urbana.
Welfare, mobilità, istruzione, cultura, intrattenimento, turismo, healthcare, energia, rifiuti, ambiente: se pensiamo a una categoria riferibile alle azioni che compiamo durante una giornata tipo delle nostre vite questa sicuramente sarà ricompresa nell’insieme della piattaforma Città.
Fare innovazione urbana vuol dunque dire fare innovazione nella vita delle persone, per migliorarla, risolvere dei bisogni, moltiplicare le possibilità, progredire come società e come civiltà.
È evidente peraltro che questi obiettivi siano gli obiettivi tipici dell’amministrazione di un territorio e di una città, con gli strumenti che le istituzioni hanno a disposizione e in particolare attraverso il policy making.
Questo è sicuramente il primo tassello dell’innovazione urbana, un elemento normativo e regolatorio che può e deve giocare un ruolo centrale, non tanto perché da solo possa risolvere tutte le sfide, ma perché può aiutare ad inquadrarle e ad orientare le scelte di tutti gli attori, singoli cittadini e organizzazioni, che hanno un impatto sulle specifiche aree urbane.
Allo stesso tempo però sappiamo che il policy making è condizione necessaria, ma largamente insufficiente perché si generi un impatto pervasivo e risolutivo.
Perché le policies possano produrre i propri effetti è fondamentale un’altra condizione: il coinvolgimento attivo della cittadinanza.
I city user devono poter conoscere, partecipare, manifestare i propri bisogni e contribuire con le proprie idee e questo non per una visione che depotenzia il ruolo di guida delle istituzioni elette, ma perché per poter agire in modo pervasivo e certosino è necessaria una conoscenza al pixel dell’infinita rete di interazioni che compongono la vita urbana;
In che modo le diverse tipologie di cittadini si relazionano al trasporto pubblico o alla mobilità dolce?
Quali esigenze hanno imprese, professionisti o cittadini rispetto al sistema di raccolta dei rifiuti?
O ancora: con quali soluzioni possono contribuire le imprese e le associazioni del territorio rispetto ad un’esigenza individuata dalla pubblica amministrazione?
Le risposte a queste domande sono la chiave di una corretta implementazione delle politiche pubbliche o delle opere di rigenerazione urbana e sono foriere di una enorme mole di dati utili per una progettazione condivisa e inclusiva, che non crei asimmetrie informative tra decisori pubblici e cittadinanza destinate a generare malcontento e protesta.
Tornando alla domanda iniziale rispetto a cosa sia definibile come innovazione urbana manca sicuramente un ultimo tassello, apparentemente il più immediato, sicuramente il più determinante e allo stesso tempo il più delicato: la tecnologia.
Se è vero che siamo una civiltà urbana è altrettanto vero che siamo una civiltà tecnologica e grazie alla tecnologia abbiamo non solo il potenziale di risolvere alcune delle enormi sfide del nostro tempo come quella ambientale, energetica e dei trasporti, ma anche di abilitare nuovi processi di governance e di community engagement.
L’Intelligenza Artificiale è senza dubbio il più grande game changer rispetto a questi punti, in particolare quando si parla di costruire policies evidence based e data driven e di potenziare la partecipazione.
Se c’è una grande lezione che abbiamo capito dai primi anni di sviluppo del concetto di smart city è che è totalmente inutile fornire ai decision maker enormi quantità di dati se questi non sono poi fruibili e non possono condurre in modo semplice, immediato e intelligibile a decisioni conseguenti.
L’AI in questo senso può non solo fornire dei dati, ma li può elaborare suggerendo azioni e decisioni che siano motivate e che alimentino nuovi modelli di governance consapevoli e più efficienti.
Allo stesso tempo digitale e intelligenza artificiale possono abilitare una forma di community engagement del tutto nuova, che affianchi quella fisica condotta nelle reti di quartiere e negli incontri pubblici e che ne estenda la platea a tutti i city user, attraverso formule digitali, interattive e asincrone che consentano di oggettivizzare attraverso i dati anche elementi emotivi e soggettivi che compongono a tutti gli effetti l’esperienza di vita urbana dei cittadini e che ne determinano il grado di soddisfazione: senso di sicurezza, felicità, speranza, fiducia.
Questi dati non sono rilevabili dalle tecnologie tipiche della smart city come sensori o telecamere, ma sono desumibili da un ingaggio pervasivo della cittadinanza e da una elaborazione dei dati approfondita e ottimizzata dall’Intelligenza Artificiale e costituiscono l’obiettivo ultimo di ogni nuovo servizio urbano e della più generale attività amministrativa.
Naturalmente ciò non vuol dire che l’innovazione tecnologica in ambito urbano si limiti all’AI dal momento che il set di tecnologie a nostra disposizione e che compone ciò che definiamo innovazione urbana è molto ampio e comprende solo per citarne alcune soluzioni come mobilità elettrica, energie rinnovabili, illuminazione adattiva, sistemi di waste management, etc;
Tutte queste sono tecnologie dirompenti e che abilitano un profondo efficientamento del metabolismo urbano, ma arrivano solo in un secondo momento, come nuove opportunità infrastrutturali o tecniche per implementare un servizio e realizzare una esperienza urbana.
Come se fossero gli ingredienti in mano a uno chef, che per usarli nel modo corretto ha bisogno di un’idea, di una brigata e di una cucina e che in ultimo deve essere in grado di far arrivare tutto questo ai suoi commensali.
Sostenibilità e attrattività, sviluppo economico e aumento delle opportunità, la soluzione a questi temi risiede nell’intersezione tra tecnologia, politica e consenso pubblico e le possiamo dare il nome di innovazione urbana.
Ha due caratteristiche fondamentali:
Tutto questo richiede un adattamento e un’attenzione continui, consapevoli però di due grandi armi a nostra disposizione: intelligenza umana e intelligenza artificiale, la seconda al servizio della prima e la prima senza paura di adottare la seconda in modo mirato, etico e sostenibile.
Articolo a cura di Rodolfo Pinto
Rodolfo Pinto è un imprenditore urban tech e climate tech e un esperto di temi di innovazione urbana sostenibile. CEO di SuperUrbanity, da anni lavora su soluzioni digitali che abilitano lo sviluppo sostenibile e la transizione delle città e delle aziende. Nel 2020 ha promosso il concetto di Città Adattiva per superare il dogma della Smart City. Membro della community dei local heroes per lo sviluppo sostenibile, all’interno del progetto Heroes Never Sleep promosso dai Global Shapers del World Economic Forum.