È un momento favorevole per i sistemi di accumulo dell’energia? Diversi segnali farebbero pensare di sì. L’ultimo report di Wood Mackenzie sulla capacità globale di energy storage prevede, entro il 2030, una crescita del 31% del tasso di crescita annuale composto (CAGR) e una capacità cumulativa di 741 GWh entro i prossimi dieci anni.
Ma non c’è solo questo a far pensare che ci siano i presupposti per uno scenario promettente. «I motivi sono diversi, a cominciare dal contesto economico favorevole: tassi di interesse ai minimi storici, mai visti in passato, abbondanza di liquidità in tutti i Paesi e di capacità di finanziamento. La finanza dimostra il suo interesse nell’investire nella transizione energetica, nelle fonti rinnovabili. C’è grande entusiasmo per soluzioni di innovazione tecnologica, ma questo non è una novità: ciò che è nuovo è l’innovazione della finanza sotto forma di spacs (società di acquisizione per scopi speciali), startup, fondi di investimento orientati a sostenere la transizione energetica».
A dirlo è Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. In occasione di un convegno a Key Energy ha introdotto il tema della fattibilità economica di un impianto di accumulo dell’energia mettendo in luce potenzialità e limiti.
Accumulo dell’energia e rinnovabili: fotovoltaico ed eolico richiedono storage
Si parte da una prima considerazione, messa in luce da Tabarelli: la crescita delle fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico, per loro natura intermittenti, ha necessità di contare su un sistema in grado di stoccare l’energia e di bilanciare picchi e carenze in modo da rendere equilibrato il sistema di distribuzione dell’energia. Al calo drastico dei costi delle rinnovabili, si assiste anche a una diminuzione dei costi delle tecnologie di accumulo, fisse e mobili (veicoli elettrici). Solo guardando alle batterie a ioni di litio si è registrato un decremento dei costi del 19%, mentre si assiste a sempre nuovi impianti: per esempio, i 115 progetti di mega-factory a livello globale, di cui 88 solo in Cina, segnala un report di Capgemini.
Dei sistemi di accumulo, come già scritto, ce ne sono di diversi tipi. Tra questi vi sono le batterie e qui un caso emblematico di successo è testimoniato da Tesla. È notizia di questi giorni che la società di Elon Musk ha fatto il proprio ingresso nell’indice S&P 500, che testimonia la sua costante e notevole crescita, testimoniata dalla performance azionaria negli ultimi cinque anni, balzata a +800%. Il sistema creato da Musk non comprende solo le auto, ma anche Tesla Energy, specializzata in sistemi di stoccaggio dell’energia per le aziende e per la rete elettrica. Le cronache evidenziano il suo ingresso in vari mercati internazionali: dopo gli USA, si prepara al lancio del suo servizio energetico nel Regno Unito, in l’Australia e pure in Israele, dove la società sta ora partecipando a diverse gare d’appalto strategiche per la costruzione di impianti di accumulo energetico.
La crescita dell’accumulo: i fattori da considerare
Ma quali sono i fattori che permetteranno lo sviluppo sempre maggiore dei sistemi di storage?
«Il primo e più importante, come detto, riguarda le rinnovabili, fonti energetiche intermittenti ed è proprio questa intermittenza che impone il ricorso a soluzioni di accumulo – afferma Tabarelli – Un altro è la mobilità elettrica che oltre che fruitrice di energia elettrica, è essa stessa una batteria di accumulo, in modalità Key Energy, una soluzione allo studio anche da parte di importanti player. Tuttavia è una strada lunga e impervia».
Certo, dobbiamo ragionare già oggi in prospettiva, prevedendo lo sviluppo dell’emobility e la possibilità di contare su un numero cospicuo di auto elettriche con prospettive di accumulo enormi, pensando che ogni auto potrebbe provvedere, con 10 kW di batteria, all’accumulo. Tutto questo, però, è una prospettiva futura. «Attualmente implicano complessità significative. Pensiamo per esempio all’energia prodotta da un impianto fotovoltaico: in sé è energia pulita, con un processo virtuoso, ma poi subentra la necessità di stoccare e distribuire l’energia prodotta non è semplice», sottolinea Tabarelli.
L’atteso salto in avanti dello storage
Si possono ravvisare elementi che permetteranno di fare il “salto di qualità” all’accumulo? «Intanto occorre guardare ai prezzi dell’elettricità, essenziale nel mondo moderno e che, come tutti i beni, ha un suo prezzo che dipende da molti fattori. Sulla borsa è quotata 40 euro al MWh, in certe ore può raggiungere i 100 €/MWh, i servizi possono raggiungere i 200, l’accumulo i 300 €/MWh. Un altro elemento da considerare è l’economia di scala: se prendiamo il fotovoltaico, per esempio, questo fattore ha contribuito al calo drastico dei prezzi. La stessa cosa potrebbe accadere, lato storage, con le Gigafactory avviate da Tesla».
Il fattore della digitalizzazione potrebbe aiutare. «Se si pensa all’Internet of Things, di cui abbiamo visto uno sviluppo esponenziale in pochissimi anni, esso permette di guardare avanti contando su scenari di rapido sviluppo. «Ma, ripeto, il panorama è assai complesso. A livello finanziario c’è da considerare l’interesse della cosiddetta finanza green, sotto forma di fondi di investimento ma anche di consumatori», che potrebbero contribuire allo sviluppo.
A proposito di ricerca e sviluppo nell’accumulo, lo stesso Tabarelli ha sottolineato la supremazia asiatica. L’Europa è indietro e lo conferma anche un recente report di Wood McKenzie secondo cui l’UE è destinata a perdere la corsa mondiale nell’energy storage.
La European Battery Alliance, progetto lanciato dalla UE per sostenere progetti di ricerca e sviluppo sulle batterie, potrà cambiare questo stato di cose? «C’è una forte tensione verso le politiche ambientali e la volontà di spingere verso la transizione energetica: questo potrà aiutare in qualche modo a recuperare qualche posizione. Ma sarà davvero difficile recuperare, data la posizione prevalente, finora incontrastata, di Cina e Giappone in particolare».
Sistemi di accumulo energetico: le opzioni più interessanti
Fra le varie soluzioni di storage, quale potrebbe essere quello più affidabile e affrancarsi? «Personalmente vedo con favore i sistemi di accumulo a pompaggio idraulico, molto affidabili, anche perché, tecnologicamente parlando, sono relativamente semplici. Un altro altrettanto interessante, anche perché più praticabile e scalabile, è il sistema di accumulo ad aria compressa (CAES) che consiste nell’uso di elettricità da rinnovabili per comprimere aria che, debitamente stoccata, viene rilasciata a seconda della necessità dopo essere stata riscaldata e fatta espandere all’interno di una turbina a gas, connessa a un generatore».
In quest’ultimo caso si sta assistendo anche a progetti che guardano all’impiego dell’idrogeno in combinazione al gas. A proposito di idrogeno, è possibile pensare a uno sviluppo di sistemi di accumulo che impiegano questo vettore? «Sono particolarmente scettico perché, malgrado negli ultimi tempi si sia generato notevole entusiasmo sull’argomento, lo si conosce da molto tempo. L’idrogeno, infatti, è un elemento già presente e usato per diverse applicazioni, ma per produrlo, stoccarlo, trasportarlo e redistribuirlo comporta ingenti spese e problemi di sicurezza», rileva Tabarelli che nel suo intervento ha accennato anche a un possibile ruolo delle UVAM. Il loro ruolo e quello delle comunità energetiche quanto potrà pesare favorevolmente sullo sviluppo di sistemi di accumulo di piccola taglia? «Anche in questo caso, c’è molto interesse, ma poi occorre fare i conti con i costi infrastrutturali finora alti. Il superbonus e le agevolazioni previste potrebbero però essere un elemento potenzialmente pesante per aprire il mercato delle comunità energetiche. I sistemi di accumulo, nel contesto complessivo, sono elementi utili, ma è difficile pensare siano risolutivi, a fronte di obiettivi in termini energetici assai ambiziosi».
Giornalista freelance specializzato in tecnologia e in modo particolare in tematiche che hanno un impatto significativo sulla vita quotidiana e su quella futura: smart energy, smart building, smart city.