L’installazione di telecamere di videosorveglianza nei luoghi di lavoro è regolata dall’articolo 4 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970 – nota come Statuto dei Lavoratori – modificato dall’articolo 23 del Decreto Legislativo del 14 settembre 2015 n. 151, attuativo del Jobs Act.
È stato, dunque, il Jobs Act ad attuare il cambiamento, intervenendo su una normativa ormai cristallizzata, che non teneva conto di un mercato video in pieno sviluppo e delle innovazioni tecnologiche che hanno marcato la sua evoluzione.
Alla luce delle modifiche apportate nel 2015, oggi, lo Statuto dei Lavoratori consente l’utilizzo di dispositivi per il controllo a distanza dei lavoratorisolo ed esclusivamente per “esigenze organizzativo-produttive, per la sicurezza sul lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.
Ma, in linea con le indicazioni del Garante della Privacy, vieta tassativamente la videosorveglianza professionale al solo scopo di controllare il lavoro e i comportamenti dei dipendenti.
Le autorizzazioni e l’informativa ai lavoratori
Lo Statuto dei Lavoratori impone che, prima di installare sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro, il datore stipuli un accordo collettivo con i rappresentanti sindacali oppure, laddove questi non siano presenti o in caso di mancato accordo, chieda esplicita autorizzazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
Ma non è tutto. Per potere utilizzare lecitamente gli strumenti di videocontrollo, i dipendenti devono essere sempre correttamente informati.
Il GDPR – General Data Protection Regulation, regolamento dell’UE in materia di trattamento dei dati personali e privacy, entrato in vigore il 25 maggio 2018 in tutta l’Unione, è molto chiaro su questo punto: fra gli obblighi del datore di lavoro, c’è quello di fornire ai suoi dipendenti un’adeguata informativa sul trattamento dei dati video, prima ancora che le telecamere vengano installate e che possano, quindi, riprenderli, anche solo “potenzialmente”.
Che cosa significa? Che, senza una corretta informativa al dipendente, nei luoghi di lavoro non è consentita nemmeno la presenza di telecamere spente.
Che cosa va specificato nell’informativa
Il lavoratore deve innanzitutto essere messo al corrente circa la presenza di telecamere e gli accordi preventivi con i sindacati o con l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
Ma, fondamentale è, nell’informativa, fornire esatta comunicazione riguardo al trattamento dei dati video e alle tempistiche di conservazione delle immagini registrate.
Più in particolare, il datore deve nominare per iscritto – e comunicarne i nomi – i responsabili e gli incaricati del trattamento delle immagini, vale a dire chi potrà intervenire sull’utilizzo delle telecamere e chi visionerà le immagini, le conserverà e le cancellerà al momento opportuno.
Nominate queste figure, è rigorosamente vietato l’accesso di altri soggetti alle immagini, salvo che si tratti delle Forze dell’Ordine.
Le immagini registrate vanno conservate per non più di 24 ore, estendibili a sette giorni previa autorizzazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro e del Garante della Privacy.
È possibile conservarle per tempi molto più lunghi, solo nel caso in cui si siano verificati illeciti in azienda o dove vi siano indagini in corso da parte delle autorità giudiziarie.
Gli obblighi del datore di lavoro
Autorizzazioni e informativa a parte, il datore di lavoro ha l’obbligo di esporre il cartello “Area videosorvegliata” all’ingresso dell’azienda o comunque prima di accedere ai locali in cui siano presenti telecamere di videosorveglianza.
Tra gli altri obblighi, ricordiamo l’inquadratura delle sole aree ritenute a rischio (per esigenze organizzativo-produttive, sicurezza sul lavoro o tutela del patrimonio aziendale), rispettando sempre la riservatezza dei lavoratori.
I dati video raccolti per ragioni organizzativo-produttive, la sicurezza sul lavoro o la tutela del patrimonio aziendale, non possono essere utilizzati per finalità diverse – fatte salve eventuali esigenze da parte delle autorità giudiziarie – né possono essere diffusi o comunicati a terzi.
Le telecamere, inoltre, non possono riprendere luoghi riservati esclusivamente ai dipendenti quali servizi e/o spogliatoi.
Quando il dipendente può fare causa al datore?
Qualora si verifichino determinate condizioni, il dipendente può contestare – o addirittura citare in giudizio – il suo datore di lavoro.
Una prima condizione si ha quando il lavoratore non viene correttamente informato della presenza di impianti video in azienda: in questo caso, può ricorrere a una contestazione attraverso il sindacato.
La causa legale vera e propria è, invece, perseguibile solo quando il datore agisce con provvedimenti gravi nei confronti del dipendente sulla base delle immagini registrate, dimostrando, così, di essersi servito della videosorveglianza per controllarlo nelle sue mansioni, nei suoi comportamenti.
A quel punto, il lavoratore sospeso o licenziato, ha la possibilità di impugnare il provvedimento di fronte a un giudice.
Ricordiamo che il datore che viola la disciplina prevista dallo Statuto dei Lavoratori e dal Garante privacy rischia il pagamento di un’ammenda o l’arresto, ai sensi dell’art.38 della Legge n. 300/1970.