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Bilancio di Sostenibilità: obiettivi, contenuti e vantaggi
I report non finanziari hanno obiettivi, criteri e contenuti precisi. Cos’è il Rapporto o Bilancio di Sostenibilità e quali vantaggi porta all’azienda
L’impronta idrica ci permette di monitorare i consumi di acqua prendendo in considerazione anche le fonti virtuali a cui normalmente non si pensa quando si calcolano gli sprechi.
È infatti un indicatore che tiene conto dei processi di produzione completi, offrendoci una panoramica precisa e molto utile per prendere decisioni in ottica green.
Di cosa si tratta esattamente?
Vediamo ogni dettaglio in questo articolo.
L’impronta idrica – o water footprint – è un valore che indica la quantità di acqua dolce necessaria a produrre un determinato bene o servizio.
Si può calcolare in relazione a un singolo processo produttivo, come per esempio la coltivazione dei pomodori, a uno specifico prodotto, come un paio di scarpe, o al totale complessivo delle risorse idriche usate da una multinazionale o da uno Stato.
Il concetto di impronta idrica nasce nel 2002 grazie al professore universitario Arien Y. Hoekstra e rielabora le teorie del contenuto di acqua virtuale (virtual water content) sviluppate nel 1993 da John Anthony Allan.
L’idea è semplice: è scorretto calcolare il consumo di acqua basandosi esclusivamente sul volume di acqua, ma è giusto considerare i processi che vi sono dietro, il contesto in cui avvengono e le persone coinvolte.
L’impronta idrica determina infatti come le risorse idriche vengono effettivamente utilizzate e quale impatto hanno sull’ambiente.
Funziona come l’impronta di carbonio e tiene conto del consumo diretto e indiretto dell’acqua senza limitarsi a quella direttamente consumata dall’uomo, ma includendo anche l’acqua utilizzata per dare vita a un qualsiasi prodotto destinato all’uso quotidiano.
Un valore molto importante per riflettere sull’impatto ambientale che i produttori e consumatori hanno e per modificare le proprie abitudini adottando un comportamento più sostenibile ed ecologico.
È importante sapere inoltre che per calcolare gli sprechi con esattezza si deve specificare dove e quando l’acqua è prelevata: l’acqua estratta da luoghi in cui le riserve idriche sono scarse comporta infatti conseguenze significative e preoccupanti che richiedono azioni immediate.
L’impronta idrica si può dividere in tre differenti componenti che insieme permettono di avere una visione completa del consumo idrico pur incidendo in maniera diversa sul ciclo idrogeologico.
La suddivisione è stata sviluppata dal Water Footprint Network e individua:
Per avere un’idea precisa dell’impronta idrica di beni o servizi, si può consultare la banca dati stilata dall’organizzazione internazionale Water Footprint Network, che annualmente compila un utile database globale.
Ecco una tabella con alcuni esempi riguardanti il settore alimentare e dell’agricoltura:
Prodotto | Media globale di impronta idrica, L/kg |
---|---|
Mandorle sgusciate | 16 194 |
Carne bovina | 15.415 |
Cioccolata | 17.196 |
Fibra di cotone | 9.114 |
Lattuga | 238 |
Latte | 1.021 |
Olio di oliva | 14.430 |
Pomodori freschi | 214 |
Pomodori essiccati | 4.275 |
Fagioli di vaniglia | 126.505 |
Pane di frumento | 1.608 |
Pasta | 1.849 |
È evidente che la produzione e il consumo dei prodotti di origine animale abbia un’impronta ecologica massiccia, soprattutto se si considera che buona parte dell’agricoltura, in particolar modo le coltivazioni di cereali, serve per produrre mangimi per animali da allevamento.
Lo stesso Arien Y. Hoekstra spiegava infatti che la catena di approvvigionamento dell’acqua ha inizio con le colture alimentari e termina con il consumatore.
Ed è proprio la coltivazione destinata ad alimentare il bestiame ciò che maggiormente contribuisce alla water footprint di carne e latticini, pur rappresentando – agli occhi del consumatore finale – un aspetto nascosto della produzione.
Naturalmente i valori cambiano a seconda dell’alimento che si produce, del sistema produttivo adottato, dell’alimentazione scelta e del tipo di bestiame a disposizione.
I prodotti vegetali hanno però un’impronta idrica sensibilmente inferiore rispetto a quelli di origine animale e spesso è il commercio delle merci a incidere negativamente sulla water footprint di un Paese.
Come si calcola l’impronta idrica?
Il procedimento è semplice e basta misurare il volume dell’acqua utilizzata per dare vita a un prodotto e di quella necessaria per diluire gli inquinanti, tenendo conto di tutte le fasi della catena di produzione e distribuzione fino ad arrivare al consumatore finale.
Per produrre una maglietta, per esempio, bisogna considerare la coltivazione del cotone, la cucitura e il lavaggio, calcolando l’impronta idrica diretta riferita al consumo o contaminazione dell’acqua e l’impronta idrica indiretta legata a consumi o contaminazioni nei passaggi precedenti.
Se si desidera calcolare in autonomia la propria impronta idrica è utile sapere che Water Footprint Network fornisce degli strumenti interattivi dove è possibile inserire il proprio Paese di residenza, la tipologia di dieta abituale e il budget medio investito annualmente per la spesa.
Indicando questi valori si ottiene un’impronta idrica approssimativa che può aiutarci a riflettere sulle nostre abitudini e capire da dove cominciare per adottare uno stile di vita più consapevole.
Anche il WWF offre un valido aiuto, grazie a una sorta di videogioco sviluppato per sensibilizzare i più giovani e con il quale è possibile riempire un carrello della spesa virtuale il cui valore finale equivale all’impronta idrica corrispondente.
La situazione idrica nel nostro Paese è molto critica e sono tanti i problemi su cui ci si deve soffermare, primo fra tutti lo spreco dell’acqua.
Secondo quanto emerge dai dati, infatti, è stato calcolato che nel 2019 solo 220 litri dei 428 prelevati giornalmente per ognuno sono stati effettivamente consumati.
L’Italia risulta inoltre essere il primo Paese in Europa per consumo di acqua potabile per uso civile, evidenziando un abuso del rubinetto che si traduce nell’esorbitante cifra di 160 metri cubi di acqua per abitante ogni anno.
Ma non solo: deteniamo il primato nel continente anche per l’utilizzo di acqua in bottiglia, toccando i 188 litri all’anno e conquistando il secondo posto nella classifica mondiale.
Dati scoraggianti che non accennano a migliorare e per cui è prioritario correre ai ripari prima che i danni siano irrimediabili.
L’emergenza acqua è ormai una realtà ed è importante che ognuno si impegni per ridurre gli sprechi, favorire il riciclo e modernizzare le infrastrutture.
In Italia il 25% delle infrastrutture idriche ha infatti ben 50 anni e il 60% ha superato i 30.
Solo il 2% delle acque reflue viene riutilizzato e l’acqua depurata per gli usi non domestici viene spesso scartata nonostante possa rappresentare un’utile risorsa per moltissimi scopi.
Quali sono le prospettive per il futuro?
È stato definito un piano di investimenti pari a circa 7,2 miliardi di euro (3,9 al Sud e nelle Isole, 1,9 al Centro e 1,3 al Nord) e l’obiettivo è agire con tempestività per mettere in sicurezza le reti idriche e affrontare preparati il preoccupante cambiamento climatico.
Il Pnrr, ad esempio, nell’ambito delle misure per la transizione ecologica, ha stanziato ben 3,95 miliardi alle risorse idriche. Tra gli obiettivi principali del piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si trovano la sicurezza dell’approvvigionamento idrico, che comporta opere e ammodernamenti sulle infrastrutture, e investimenti la riduzione delle perdite che ambisce a ridurre il 15% delle perdite di acqua potabile lungo oltre 15mila chilometri di reti