Dove dev’essere fisicamente l’intelligenza che serve al funzionamento di un edificio e al soddisfacimento della domanda di servizi di chi lo utilizza? Apparentemente sembra una domanda capziosa, alla quale poter rispondere con una scrollata di spalle: che ce ne importa? L’importante è che le informazioni siano disponibili quando servono.
Ma le cose non stanno esattamente così. Le reti digitali intelligenti sono, infatti, la rappresentazione concettuale di una serie di nodi connessi da servizi monitorati istantaneamente per garantirne l’utilizzo da parte degli utenti. Un nodo della rete costituisce, quindi, il punto di erogazione del servizio che, quasi sempre, corrisponde a un luogo fisico. In tal senso, gli edifici, che sono per antonomasia dei luoghi fisici, svolgono un ruolo chiave, dal momento che rappresentano il naturale punto di incontro tra la domanda e l’offerta di informazioni (dati) che devono essere raccolte, organizzate, normalizzate, elaborate, misurate e infine storicizzate per poter essere utilizzate.
La maggior parte dei dati necessari alla gestione dei servizi d’edificio e dei suoi occupanti, quindi, si genera e viene utilizzata in loco. Un’affermazione per certi versi sorprendente nel quadro della esaltazione delle sorti magnifiche e progressive della rete, ma che rende invece evidente come la gestione centralizzata delle informazioni risulti spesso inefficiente, rischiosa, inutilmente onerosa e persino poco sostenibile, dal momento che far viaggiare i dati ha un costo ambientale non trascurabile (il trasferimento globale di dati è responsabile di quasi il 4% di tutte le emissioni di CO2).
Per offrire risposte a questo paradosso, ci soccorre l’edge computing, che altro non è che un’implementazione dell’infrastruttura IT che permette di aumentare l’affidabilità e migliorare il flusso dei dati collocando le applicazioni vicine agli utenti o alle “cose” che ne hanno bisogno.